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Lo studio “Positive”

Gennaio 2023

Al recente (dicembre 2022) Congresso di San Antonio (Texas ) sono stati presentati i primi risultati dello studio  internazionale denominato “Positive”, cui hanno partecipato molti centri italiani, tra cui lo IEO di Milano ed il Policlinico San Martino di Genova  (https://www.aiom.it/eventi-aiom/back-from-san-antonio-2023/).  Lo studio ha dimostrato che in donne giovani (sotto i 42 anni) con carcinoma mammario operato e recettori ormonali positivi la terapia anti-ormonale, che di norma viene prescritta per 5 anni di seguito, può venire interrotta dopo un anno e mezzo con un periodo di sospensione di due anni e poi può venire ripresa per i restanti tre anni e mezzo. I due anni di intervallo consentono alla paziente di iniziare e concludere una gravidanza. Si è visto che questo approccio non pregiudica la sicurezza della gravidanza e non aumenta il rischio di recidiva, cioè di ritorno della malattia, nelle donne: oltre il 60% di queste pazienti ha portato a termine la gravidanza con successo. Si tratta in sintesi di uno studio che cerca di preservare la fertilità e la maternità delle donne operate al seno. A proposito di preservazione della fertilità, già in passato si erano trovati farmaci efficaci per mettere a riposo le ovaie e preservarle dal danno della chemioterapia in pazienti che necessitavano di questo tipo di cura precauzionale dopo l’intervento chirurgico: in tal modo si riduceva il rischio di danneggiare la funzione riproduttiva e di indurre una menopausa precoce.

Lo studio “Positive” ci  suggerisce  due ordini di riflessioni.

La prima riguarda l’Etica. Negli anni ’70 , quando l’Oncologia faceva i suoi primi passi, il grande dilemma etico, potremmo dire quasi l’unico, era il “dire o non dire la verità al malato?”.  Per fortuna oggi questo problema è superato. Ma le questioni etiche sono sempre ancora presenti, a tutti i livelli. Per esempio in questo caso, è giusto per la donna intraprendere una gravidanza sapendo che esiste una percentuale (modesta in realtà: circa  il 9%) di avere un ritorno della malattia (la “recidiva”)? Oppure non sarebbe meglio rinunciare per poter eventualmente curarsi meglio e non dover trascurare il figlio appena nato? A queste domande può rispondere soltanto la paziente direttamente interessata, anche se il medico curante ha un ruolo importante nella informazione e nel counselling. Ci piacerebbe conoscere il parere, il sentimento di coloro che ci seguono. Cosa è per voi l’Etica? E la Bioetica, che è l’etica che si occupa di tutti gli esseri viventi, umani, animali, vegetali? Che posto occupa o ha occupato nella storia della vostra malattia oppure nella vostra vita? Il medico curante, sia generico sia oncologo o ematologo, vi sono sembrati  per modo di dire preparati da questo punto di vista? Ritenete opportuna una formazione  degli operatori in questo senso o pensate che sia soltanto una questione di coscienza, e che quindi non possa venire insegnata?

La seconda è una riflessione che riguarda il modo di affrontare il “Pianeta Cancro” da parte degli operatori. Fino a pochi anni fa (15-20 anni fa) l’approccio era quello della Guerra al Cancro (“The war against cancer” degli autori inglesi): tutti i tentativi terapeutici erano indirizzati ad estirpare il  tumore, il grande nemico. E questo era anche il feeling dei pazienti. Oggi l’ottica si è spostata sul malato, sulla persona che è affetta da una malattia, neoplastica o non neoplastica che sia. E quindi si bada alla qualità di vita dell’assistito, si tengono in considerazione maggiormente le sue aspettative e le sue convinzioni ideologiche e/o religiose, si cerca di evitare interventi chirurgici mutilanti o  troppo invalidanti.  La ricerca di cui abbiamo accennato sopra va proprio in questa direzione: il desiderio di maternità delle giovani donne. E così si è visto che per certi tipi di tumore in determinati stadi si può benissimo stare a vedere ed aspettare: il “aspetta e vedi” (o “wait and see”) del carcinoma della prostata in fase precoce, per fare un esempio.  E così possiamo ricordare la mano leggera (potremmo dire dosi omeopatiche) per quei pazienti anziani con forme di mielodisplasia in cui si possono evitare terapie troppo tossiche. In quest’ottica rientrano le attenzioni di tipo estetico (contro l’alopecia per esempio), o le prescrizioni dietetiche atte a prevenire eccessi o perdite di peso, il  controllo del sintomo fatigue con il consiglio di fare una lunga camminata tutti i giorni, e così via. Ovviamente questo atteggiamento in nessun caso deve perdere di vista l’obiettivo principale: la guarigione e comunque la sopravvivenza del malato: nessuno sconto, nessuna rinuncia. Lo slogan potrebbe essere “non solo chemioterapia!”. Un approccio globale, olistico, una visione sistemica che stia attenta agli effetti collaterali,  alle terapie di supporto ed alle cure  palliative. E spesso  potrebbe essere  necessario un aiuto di tipo psicologico: il primo psicologo deve essere il vostro medico curante, oncologo o ematologo che sia; ma, quando necessario,  subito l’intervento dello psicologo specialista con la sua esperienza e la sua professionalità. A noi sembra che questo nuovo approccio magari sia un po’ più complicato, ma che sia più giusto e più rispettoso della dignità del nostro assistito, visto più come cittadino, come essere umano, come persona piuttosto che come ammalato che necessiti di cure mediche.

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