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La storia di Luisa Ferretti

Luisa

Per tre volte, nell’arco di 12 anni, il male l’ha aggredita, minandole il corpo e lo spirito. E per tre volte Luisa Ferretti l’ha affrontato e battuto. Grazie sicuramente alle cure dei medici, ma anche a quella forza che, forse, non pensava neppure di avere. Una capacità di reagire che, di certo, le ha dato la sua famiglia. “Vedevo i miei figli piccoli e dicevo a me stessa che dovevo lottare per loro, che non potevo abbandonarli e che dovevano crescere con me”.
Oggi Luisa Ferretti, emiliana di Reggio Emilia, ha 51 anni, un marito e quei due figli che, nel frattempo sono diventati grandi. Nel frattempo perché il male l’ha colpita giovanissima, nel 1988 quando aveva appena 29 anni. “E’ stata una scoperta casuale. In quel periodo soffrivo di mal di stomaco, ma mi sono decisa a fare esami approfonditi quando ho scoperto la presenza di una ghiandola sul collo”. E la diagnosi dei medici è stata terribile: linfoma di non Hodking, con un basso grado di malignità, ma ancor più difficile da guarire. Il ciclo di chemioterapia è stato lungo (6 mesi) e tutt’altro che facile, cui è seguito anche un auto trapianto di midollo. Cure che, però, non hanno estirpato il male che, era il 1991, è tornato a farsi vedere, costringendo Luisa a una seconda tranche di visite e cure, comprensive del trapianto del midollo e della radioterapia totale. Un periodo lungo e complicato, caratterizzato dagli inevitabili effetti che la chemio produce (perdita di capelli innanzitutto), ma che Luisa ha affrontato con una dignità straordinaria e con un pensiero fisso: i suoi figli. “Andavo alle feste dei loro compagni e partecipavo alle gite scolastiche. Stavo male, molto male, ma cercavo di condurre il più possibile una vita normale, compreso il lavoro della mattina, cui seguivano pomeriggi bruttissimi. Mia figlia aveva 6 anni, il piccolo 3: è stato in loro che ho trovato la forza. Una forza che mi faceva parlare con il linfoma. “Tu cosa fai?”, “Io non ti voglio”, “Arriverò a sconfiggerti”, erano queste alcune delle fresi che gli rivolgevo. Oltre alla mia famiglia, c’è stato un episodio che mi ha fatto scattare qualcosa dentro. Mi trovavo in ospedale e una signora malata come me mi disse “Hai 29 anni e tante cose da fare. Vedi ci combattere”. E ho combattuto”. Una lotta che Luisa pensava di aver vinto definitivamente. E, invece, nel 2000, nel corso dei normali controlli per gli ex malati, l’incubo si è nuovamente materializzato: una ghiandola al rene sinistro che si rivelò essere un linfoma di non Hodking, questa volta più aggressivo dei precedenti. Una nuova sfida che Luisa, tra momenti di euforia e anche di sconforto, ha riaffrontato senza indugi. E che, anche questa volta, ha vinto. “La solidarietà e la vicinanza della famiglia e degli amici in quei momenti sono fondamentali. Ma la molla la devi trovare in te stessa. Le medicine sono importantissime, i medici sono stati fantastici (e pure pazienti perché a volte mi rifiutavo di sottopormi alle cure e li ho pure trattati male), ma per guarire non bastano, è necessario che tu ci aggiunga qualcosa, il tuo ottimismo, la tua voglia di vivere. Mi sono convinta che il male non sia venuto casualmente, ma che sia stato legato a un mio modo di comportarmi o di pensare. E da allora mi sono sforzata di cambiare atteggiamento, anche mentale”.

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