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La storia di Barbara

Barbara

La prima volta l’incubo si è materializzato nel 2000 quando le hanno diagnosticato un tumore alla mammella sinistra. La seconda nel 2005 quando i medici hanno scoperto un altro tumore al seno destro, lo stesso colpito poi anche nel 2008. Tre tumori in otto anni. Quanto basta per fiaccare ogni resistenza e spegnere anche l’ultima fiammella di ottimismo? Nient’affatto. Perché Barbara, milanese di 40 anni, sposata da 11, non ha mai perso il sorriso né la voglia di vivere. Anzi.
“Io non mi preoccupo, mi occupo di me. I medici e le terapie pensano al mio corpo, io alla mia anima: vivo pienamente la vita e ogni suo istante”. Momenti felici e altri pieni di difficoltà, un’alternanza affrontata con un coraggio che non pensava neppure di avere. Una scoperta fatta dopo 31 anni di assoluta normalità e lontana da quegli ospedali e quella terminologia che, dopo, le sono diventate familiari. Erano le 3.15 di notte del 5 novembre del 2000, Barbara stava dormendo a pancia in giù quando si svegliò per una fitta dolorosissima. Una scena rivissuta qualche giorno dopo e che la convinse a recarsi da un medico per effettuare dei controlli. Niente. Possibile?
“Dopo due settimane ho sognato mia nonna alla quale ero molto legata e che mi ha detto che avevo un tumore, che avrei dovuto fare la chemio e che sarei guarita”. E così è stato. Da quel momento, però, non le è cambiata la vita. Neppure quando, nel giugno del 2005, le fu diagnosticato il secondo carcinoma. “Sono stata operata l’1 luglio, una settimana dopo ho fatto la medicazione e il 9 sono partita per gli Stati Uniti. Sono stata una grande”. Barbara se lo dice da sola, ma lo stesso hanno fatto i parenti e amici che le sono stati vicini.
E non solo. I complimenti arrivano sia dagli ammalati milanesi che, in qualità di volontaria, va a trovare periodicamente in ospedale e nelle case di cura sia da quelli di tutta Italia che incontra nell’ambito dei faccia a faccia organizzati dall’Associazione Culturale Le Griots onlus è una delle socie fondatrice. “Portiamo in giro le nostre testimonianze di vita. Abbiamo iniziato due anni fa e poi siamo state incoraggiate a proseguire da medici e infermieri per la bontà del messaggio che trasmettiamo.
Vorremmo andare anche nelle Università per dire ai futuri medici che il rapporto umano coi pazienti è fondamentale. A volte basta un sorriso o una pacca sulla spalla. Quando mi hanno detto che ero malata mi si è fermato il mondo e anch’io ho pianto, ma lamentarsi non serve e niente. Non sapevo di essere così, è stata una felice scoperta. Sarebbe stato sicuramente meglio non ammalarsi, ma, una volta che ti colpisce il tumore, bisogna agire. Sono entusiasta della vita e vedo la faccia bella della medaglia. Sono una persona fortunata: ho un lavoro, una famiglia, dei genitori e degli amici. Vivo la vita, ogni giorno è prezioso e ogni secondo me lo godo.
Continuo a viaggiare con mio marito, con il quale ci completiamo alla perfezione. Nel 2001 lui doveva andare a fare la maratona di New York, ma voleva rinunciare quando mi hanno diagnosticato il primo tumore. E invece a marzo gli ho detto di prenotare lo stesso. Se mi fossi fermata cosa sarebbe successo? La rovina del presente e del futuro. E invece bisogna cogliere l’attimo e vivere intensamente ogni istante”.

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