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La storia di Deborah Atza

Deborah

Quando ha saputo di essere malata il pensiero è corso, inevitabilmente, a sua madre. Alle sofferenze che aveva patito e alle cure che non avevano, purtroppo, funzionato. E, nonostante il tumore fosse in casa sua più di una terribile parola, ma un’ipotesi concreta che da allora aveva iniziato ad aleggiare, il colpo è stato tremendo. “Sono stati giorni terribili. La paura di morire è stata forte”. Paura che, però, non è mai diventata disperazione né, tantomeno, rassegnazione. Deborah ha reagito e lottato, con il pensiero fisso a suo marito (“è stata la mia ancora di salvezza) e a suo figlio (“non potevo lasciarlo solo e dovevo lottare per lui”). E ha vinto. Perché si può vincere. “E’ fondamentale crederci, sapere che, per quanto sia difficile e doloroso in quel momento, la guarigione è fattibile. Anche perché rispetto a 20 anni fa la medicina ha fatto enormi passi in avanti”. Vent’anni. Quelli trascorsi da quando sua madre non era riuscita a sconfiggere il tumore al seno che l’aveva aggredita e il gennaio del 2007 quando Deborah Atza (che oggi di anni ne ha 41 e continua a vivere a Brugherio, in provincia di Monza e Brianza) si accorse che nel suo seno c’era qualcosa che non andava. “Proprio per l’esperienza di mia madre, da tempo mi sottoponevo a visite periodiche. L’ultima l’avevo fatta nel novembre del 2006 e tutto era a posto. Poi a gennaio io e mio marito ci accorgemmo di quel nodulo”. Una settimana dopo era in programma l’ecografia ma Deborah decise di non aspettare. Gli accertamenti, poi la notizia. Sconvolgente. Tumore al seno. “Dal momento della diagnosi all’operazione di metà febbraio sono stati giorni terribili, i peggiori. La paura di morire era forte e non ho fatto altro che piangere disperata”. Reazione comprensibile, cui poi ne è seguita un’altra. Di segno opposto. “Ho fatto un bel respiro e ho capito che non potevo continuare a disperarmi. In quel momento ho pensato molto a mio figlio che aveva 10 anni. Sapeva che sua nonna era morta anni prima e non gli abbiamo voluto nascondere niente. Gli abbiamo detto cos’era il male, le cure cui mi sarei dovuta sottoporre e gli effetti che avrebbero prodotto sul mio corpo. Si è preoccupato, ma non potevamo nasconderglielo”. Deborah è stata operata (“fortunatamente il tumore è stato preso il tempo e ho potuto salvaguardare anche la mia femminilità”), si è sottoposta alla chemioterapia (“anche quello è stato un momento difficile perché mi sono ricordata come aveva sofferto mia madre, ma, sottoponendomi al ciclo, le percentuali di guarigione passavano dal 73 all’85 per cento. E in quei momenti non è poco”) e ha cercato di condurre la sua vita normalmente (“mi mettevo una parrucca e andavo a prendere mio figlio a scuola”), circondata dall’affetto dei suoi cari. “Mio marito, mio figlio e mio padre in primis. Ma non solo. Perché altre persone mi sono state molto vicine. E sono state fondamentali perché in quel momento hai bisogno di qualcuno che ti stia accanto, con cui piangere o ridere. Farcela da soli è difficilissimo anche se è chiaro che il primo impulso viene da te stesso. Devi credere nella guarigione, anche perché dal tumore si guarisce. E una volta sconfitto il male ti senti più forte perché puoi dire “ce l’ho fatta””.

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