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HEALTHDESK - Covid: così il virus Sars-CoV-2 ha imparato a hackerare le nostre cellule

9 marzo 2023

Lo studio dei ricercatori dell'Ifom di Milano e del Cnr-Igm di Pavia, appena pubblicato su Nature Cell Biology, dimostra che il coronavirus viola i sistemi delle cellule, ne danneggia il Dna e impedisce di ripararlo.

Lo studio, pubblicato sull'autorevole rivista scientifica Nature Cell Biology, ha concluso che il coronavirus viola i sistemi delle cellule, ne danneggia il Dna e impedisce di ripararlo, provocando invecchiamento e infiammazione.

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Gli autori la definiscono una vera e propria “operazione di hackeraggio”, che potrebbe essere utile conoscere nell’ottica di sviluppare nuove strategie farmacologiche finalizzate a limitare gli effetti di Sars-CoV-2.

Il virus induce le cellule a produrre componenti necessari al virus, impendendo loro di avviare i meccanismi di riparazione del DNA e causando invecchiamento e infiammazione. Da questo fenomeno potrebbe dipendere la letale “tempesta citochinica”.

Il virus Sars-CoV-2 sconvolge le cellule come esattamente come un virus informatico manda in tilt un computer: ne altera il comportamento finendo per provocare danni al DNA e impedendo loro di ripararli; in tal modo provoca senescenza cellulare e infiammazione cronica. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’IFOM (Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare) di Milano e dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (CNR-IGM), con il contributo dei virologi dell’ICGEB di Trieste. La ricerca è stata pubblicata su Nature Cell Biology.

«Tutti i virus, si sa, sono parassiti», spiega il coordinatore della ricerca Fabrizio d’Adda di Fagagna, responsabile del laboratorio IFOM “Risposta al danno al DNA e Senescenza Cellulare” e dirigente di ricerca al CNR-IGM di Pavia. «Entrano in una cellula e iniziano a sfruttare tutto quello messo a disposizione dalla cellula infettata per replicarsi e diffondersi. E il Sars-CoV-2 è un virus particolarmente avido e abile. Nel nostro laboratorio ci siamo chiesti come avvenga questa operazione di ‘hackeraggio’ da parte del virus e se vi possa essere una connessione con quei processi che studiamo quotidianamente in ambiti patologici solo apparentemente distanti, quali tumori, malattie genetiche e condizione legate all’invecchiamento: tutti eventi accomunati dall’accumulo di danno al Dna».

Partendo da queste premesse i due principali autori dello studio, Ubaldo Gioia e Sara Tavella, hanno individuato, attraverso l’uso di diversi sistemi cellulari in vitro, le cause molecolari alla base degli effetti deleteri del COVID-19, e ne hanno trovato conferma in vivo, sia in sistemi modello murini di infezione, sia in tessuti post-mortem derivati da pazienti affetti da Covid-19.

«Quello che abbiamo osservato è che Sars-CoV-2, una volta entrato nella cellula, ne dirotta i processi fondamentali, costringendola a smettere di produrre deossinucleotidi, i “mattoni” del DNA, per farle produrre i ribonucleotidi ovvero i “mattoni” che servono a sintetizzare l’RNA della cellula e, soprattutto, quello del virus. È proprio questa alterazione del processo cellulare operata dal virus a proprio vantaggio a consentire l’esplosiva replicazione virale all’interno della cellula infetta da Sars-CoV-2».

Da questa alterazione deriva un problema che è una catastrofe per la cellula: la carenza di deossinucleotidi: «la cellula non riesce a replicare adeguatamente il proprio DNA e accumula danni nel suo genoma. Inoltre – proseguono Gioia e Tavella – abbiamo scoperto che il virus, oltre a causare la rottura del DNA per mancanza di deossinucleotidi, interferisce anche con i meccanismi cellulari di riparazione di questo DNA danneggiato, inibendo la proteina 53BP1 essenziale per il processo di riparazione».

A quel punto per la cellula infettata da Sars-Cov-2 la capacità di reagire è compromessa. Tra gli effetti di questo fenomeno, spiega d’Adda di Fagagna, «sicuramente il precoce invecchiamento delle cellule, detto senescenza cellulare, e l’associata produzione di citochine infiammatorie. Non a caso la principale causa dei sintomi più gravi nei pazienti affetti da Covid-19 è proprio un’eccessiva produzione di citochine infiammatorie, nota anche come ‘tempesta di citochine’. In base ai risultati ottenuti abbiamo evidenziato come l’accumulo di danno al DNA, l’unico componente insostituibile delle nostre cellule, possa dare un contributo importante alla tempesta infiammatoria scatenata dal virus». Ma i ricercatori non si sono fermati a questa osservazione. «Fornendo alle cellule infettate un supplemento di deossinucleotidi – spiegano Gioia e Tavella – abbiamo dimostrato che, riducendo il danno al DNA causato dal virus, abbattiamo anche i livelli di infiammazione».

«È importante sottolineare – precisa d’Adda di Fagagna – che senescenza cellulare e infiammazione cronica sono alla base dei processi di invecchiamento, che esso sia fisiologico o patologico, e infatti molti scienziati stanno scoprendo sempre più frequentemente evidenze di un invecchiamento accelerato in casi di gravi di COVID-19. In questo senso sarà importante studiare anche la correlazione tra queste nostre nuove scoperte e condizioni quali il cosiddetto long Covid, per sviluppare nuovi trattamenti farmacologici che limitino gli effetti di tale patologia»

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